Siamo uomini o sportellisti? Sicuramente Tele-impiegati…
Mind Your Business
Complice di sicuro pure il Coronavirus la propulsione verso la virtualizzazione di ogni aspetto lavorativo sta generando qualche mostro, che quantomeno sta dimostrando inequivocabilmente l’esiguità delle differenze fra lavoro “in presenza” e “a distanza”
È stato durante una delle tratte ferroviarie da pendolare settimanale Trieste–Milano, nel periodo presso BHuman (2001-2002), che ho letto l’articolo su Web Marketing Tools che mi ha ispirato a dedicarmi, in modo multidisciplinare, da studente di Psicologia e Developer, al Telelavoro. Ero già abituato a farlo — ma non sapevo si chiamasse così — da alcuni anni, direttamente da casa come homepreneur, ma a colpirmi di più è stata l’osservazione che in azienda stavamo già telecollaborando pur rimanendo, tutti noi giovani e meno giovani, “in presenza” sotto lo stesso tetto…
Fatta eccezione per le “weekly” (riunioni settimanali), infatti, la posta elettronica veniva usata a profusione — tant’è che questa best practice mi è rimasta — per qualsiasi comunicazione non immediata, mentre per quelle immediate c’era il glorioso MSN Messenger: improbabile che qualcuno si sarebbe alzato dalla sedia, od alzato la cornetta per poi digitare il numero dell’interno, senz’aver prima dato un’occhiatina allo status del collega desiderato (“Occupato”, “A pranzo“, etc.) e vedere se l’azione sarebbe andata a buon fine.
Pause-pranzo, pause-sigaretta e pause-caffé assieme, a coppie o terzetti, e così per i confronti davvero importanti; per il resto bastavano ed avanzavano le weekly. Persino gli avvisi collettivi ai lavoratori, ad esempio il riavvio di un server o l’imminente turno di interruzione estiva dell’elettricità venivano fatti via NET SEND, che alcuni di noi usavano pure a tu per tu, come alternativa ancora più nerd ad ICQ. Skype era ancora là da venire, figurarsi WhatsApp o Telegram!
Forse è stato questo l’imprinting per cui resto tuttora fra i sostenitori dell’idea per cui, potendo telelavorare anche da cubicolo a cubicolo, qualsiasi ulteriore distanza è, se non proprio ininfluente, quantomeno sormontabile, purché vi sia il necessario substrato organizzativo e le adeguate risorse umane. In una mia precedente esperienza, in E-Tree, le seconde c’erano, anche troppo. Era il primo a latitare, e quindi si appoggiava al professionismo del singolo: anche qui “telelavoravamo in presenza” per la maggior parte del tempo, ma si trattava di un approccio da “co/autogestione” dei team che lasciava ognuno piuttosto solo; committed ma assolutamente non engaged, come si direbbe oggi…
Perché tale (apparente) botta di nostalgia? Perché un’elegia dei bei tempi andati va sempre bene, specie se si parla del Telelavoro ben prima che fosse mainstream e che gente si proclamasse “early adopter” avendo iniziato nel 2012 (pubblicità di Microsoft Teams), ancor di più se sotto il naso ti capita la promozione di un servizio chiaramente nato come telelavorativo (alcune funzioni simil-Teams)1 e scippato a favore delle situazioni “in presenza” (co-localizzate).
Appendendo al muro della stanza di casa adibita ad Home Office questo tablet modificato — altro non è, tant’è che non è così istantaneo trovarne le caratteristiche hardware da ex-invenduto — è possibile mostrare lo status “Busy” o “Free” ai propri congiunti sulla base della sincronizzazione con vari calendari online (condivisi) e dunque sentirsi già giustificati per quando ci si adirerà perché nessuno l’avrà guardato prima di entrare, almeno per notarne il design…
Questa prospettiva è così ingenua — ma non oserei mettere la mano sul fuoco su una sua non efficacia, almeno in termini di percezione di formalità da parte di coniugi e prole — che non ci si può esimere da spingersi ad una ipotesi più maliziosa, peraltro mostrata anche nel video, cioè che il device vada posto non all’ingresso dell’Home Office bensì di fronte al naso del lavoratore. Alcuni lavoratori preferiscono avere un planner sotto gli occhi, tant’è che fra i gadget natalizi spopolano ancora quelli cartacei da scrivania da poter pasticciare a volontà, ma penso si possa andar oltre.
Io ci vedo un sistema di controllo da remoto, non dissimile da una sirena industriale che scandisce i cambi turno, solo che in questo caso ciascun turno è costituito non dal avvicendamento di persone bensì da quello fra un’attività (task) e l’altra, che vanno completate in un certo lasso di tempo, tanto eterodirigibili quanto condivisi sono i calendari dai quali il device va a pescare per mostrare lo status. Un controllo ex ante da remoto oltretutto assai appetibile visto che, si tratti di lavoratori remotizzati o co-localizzati, solleva un po’ dall’impegno di doverlo fare ex post, sui risultati, lasciando, però, autonomia nell’esecuzione.
Perché un sistema di controllo da remoto? Perché in effetti il soggetto più remotizzabile della emergente vignetta non è il lavoratore bensì il suo supervisore: è quest’ultimo, infatti, che da un qualsiasi luogo, attraverso i calendari condivisi, può determinare quanto busy sarà la persona nella giornata od in quelle a venire; potrebbe pure limitarsi a piazzare attività nel calendario, riempiendolo con una singola email farcita di allegati (documenti, eventi, task, etc. — Ms. Outlook supporta questo da oltre vent’anni), e sentirsi comunque affrancato dell’aver agito da manager e non da mero scambiatore ferroviario…
La versione per ufficio tradizionale, inizialmente un praticissimo device per vedere l’occupazione di una sala comune ed al caso prenotarla, finanche estemporaneamente — se uno la trova occupata può fare il booking per il primo buco libero grazie al touchscreen—, è persino più subdola: immagino già l’avventore presentarsi sulla soglia dell’ufficio del collega — senza aver guardato prima i calendari o la app disponibile —, vedere che è già occupato, piazzarsi in coda e ritornare al momento del proprio turno.
Il fatto è che entrambi i device si basano sullo stesso backend software: non credo che un’azienda che immette sul mercato un sistema del genere, assolutamente meritorio in sé e forse al massimo un filino troppo costoso, trascuri l’integrabilità fra i due: vale a dire che se ogni lavoratore disponesse di un device potrebbe, con un semplice tocco al touchscreen, prenotarsi la disponibilità di uno o più colleghi. Non fosse una sorta di “Virtual Queuing” si potrebbe chiamarlo banalmente “eliminacode“, per teleimpiegati ormai ridotti ad un alienante “sportellismo“, virtuale o non, e sempre più sospinti verso il Proletariato Binario.
Mi chiedo, poi, cosa ci vuole per (decidere di) aggiungere ai device funzionalità audio/video e competere, od affiliarsi, con soluzioni come il già citato Teams: a quel punto qualsiasi ufficio stabile, che nella fattispecie pandemica attuale significa prettamente casa, potrebbe diventare un cubicolo, forse persino più efficientemente “spremibile” di quello tradizionale.
Note
- Automaticamente Skype for Business imposta specifici status descrittivi dell'utente sulla base di eventi di sistema (ad es. essere già impegnato in una conversazione) o impegni registrati (ad es. in Ms. Outlook);