Le lobby all'attacco del Telependolarismo
Sala, Tempora Currunt…
Come in ogni disturbo post-traumatico arriva la negazione, anche violenta, avversa al cambiamento occorso rispetto ad una situazione precedente, Coronavirus incluso. Se all’"uomo della strada" è concesso ciò invece cozza con le responsabilità istituzionali, specie se sulle stesse, come nel caso di Milano e reciprocamente della Lombardia, già grava un interessamento internazionale alle vulnerabilità di sistema dell’intero Paese
Essendo pubblivoro apprezzo la pubblicità fatta bene. Essendo meno capiente degli uffici strategici delle aziende che la fanno tento da sempre di carpirne le sottostanti segrete analisi sui trend di mercato facendo dei confronti con altre informazioni disponibili: per esempio l’attuale battage dell’automotive mi risulta più significativo della sofferenza del settore di tanti articoli. Ad ascoltare le pubblicità televisive e radiofoniche è tutto una “ripartenza“, orgogliosamente patriottica se possibile — seppur con sedi legali e fiscali della committenza in qualche cd. “paese frugale“. Ripartenza che, come nelle soap o nei manga, dovrebbe necessariamente avvenire tornando nel preciso momento nel quale si era conclusa la puntata precedente, con tanto di recap, od ancora peggio interrotta dai consigli per gli acquisti
: non cambiate canale!
sembra l’esortazione…
…Invece il canale tanti spettatori non potranno che cambiarlo pur evidentemente essendovi affettivamente attaccati: iniziando da quelli che si beccheranno altre settimane di ammortizzatori sociali (CIG, FIS), pertanto a stipendio — già sotto le medie Occidentali — ridotto, e da quelli i cui datori di lavoro già si preparano alla fuoriuscita dal prolungato divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (economico) od escogitano strategemmi per una giusta causa (disciplinare), magari per non aver adeguatamente adottato le misure anti-Covid richieste per i luoghi di lavoro.
Il canale lo cambieranno pure coloro i quali, pur ambivalentemente desiderando far finta che non sia successo nulla nonostante le settimane di lockdown e le previsioni piuttosto fosche sull’andamento della contingenza sanitaria, già hanno modificato i loro costumi, pure di acquisto: li si noterà a colpo d’occhio perché saranno quelli che insisteranno ad igienizzare tutto e ad evitare il contatto fisico con qualunque non congiunto, consci che la “verginità pandemica” ormai è un residuo del passato ed un “CoVid-3” potrebbe sempre essere dietro l’angolo; costoro si comporteranno in modo differente quel tanto che basta da promuovere il cambiamento, assolutamente naturale, che coinvolgerà tutti.
Alla fine anche i negazionisti, magari soltanto per emulazione (influenza sociale), si allineeranno ma è una questione marginale: a nessun paese, oggi più di ieri, fa bene presentare come proprio biglietto da visita il cluster demografico dell’analfabetismo funzionale, seppur si sia dimostrato sempre più proficuo in termini elettoralistici a breve-medio termine; non è, infatti, su tali risorse che può esser proposta la competitività né già la mera affidabilità di un paese.
Tantomeno la riabilitazione della competitività o della mera affidabilità di un paese di fronte a comprensibilmente scettici — eufemisticamente — sguardi internazionali.
Queste sono le considerazioni alla base della mia compassionevolezza nei confronti della doppietta di uscite, veri e propri spot pro una restaurazione ai tempi antecedenti l’emergenza, prima di Pietro Ichino123 e poi di Beppe Sala,45 sullo “Smart Working“, quantomeno in salsa pubblica, e non solamente per il grottesco conio dell’aggettivo “smartabile“.6 Al di là del polverone che si sono attirati i due, infatti, credo che questo apparente luddismo7 non vada motivato altrimenti se non con le pressioni a cui, ciascuno nel proprio ruolo, probabilmente si sente soggetto.
Nel 2006 scrissi un post ironico ispirato a “Satira Preventiva” di Serra, che ad una successiva patch (2015) sottotitolai: Il “Telework Skpeticism” in tanti casi è motivato, ad esempio per il timore d’un vulnus ai propri affari, consolidati nel tempo. Conservatorismo e protezionismo a parte ecco alcuni soggetti che, anche della sola Innovazione altrui, avrebbero solo da perderci
; conteneva 10 Previsioni “apocalittiche” sul Telelavoro (in Italia):
Spaurimento fra Giuristi, Sociologi e Sindacalisti
;Angoscia fra le Società Emettitrici di Buoni Pasto, i Pubblici Esercizi e i non-Telelavoratori
;Ansia fra Agenzie Immobiliari, Investitori e Notai
;Smarrimento fra Criminalità Organizzata ed affiliati fra gli Imprenditori ed i Politici
;Delusione fra Industrie Alimentari e di Integratori
;Panico fra Sindacati e Partiti Politici
;Fastidio fra Società Sportive Professionistiche e (loro) Inserzionisti Pubblicitari
;Amarezza fra i Trasporti (pubblici e privati) e la Ricettività
;Disappunto fra Telco ed ISP
;Puro terrore fra Software House e Web Agency
.
Nonostante si sia trattato di un post classificato “Fanta-Telelavoro“, pensando ad un futuro positivamente distopico in cui il Telelavoro fosse esploso nel nostro Paese, oggi, che un “cigno nero” in effetti è avvenuto, ed al quale abbiamo dovuto adeguarci ricorrendo a quello cd. “emergenziale“, non è affatto così fantastico che le ricadute siano più vaste.
“Previsione apocallittica sul #Telelavoro n°3″ ☺https://t.co/STF4LVILtx https://t.co/wNcICdsGcA
— Telelavoro Blog (@TelelavoroBlog) May 31, 2020
Tentando di mettermi nei panni sia di Ichino che di Sala, che non ritengo capaci di perdersi in amenità,8 mi faccio una domanda: davvero cambia qualcosa se un dipendente pubblico se ne sta a casa a lavorare oppure torna in ufficio? La risposta è ovviamente: no, se già non lavorava prima ha continuato a non lavorare da casa e tornerà a non lavorare in ufficio. Con il corollario: se già lavorava prima ha continuato a farlo, e forse di più e meglio, da casa, ma non è affatto detto che sosterrà la stessa prestazione tornato in ufficio. Nessuno dei due è così ingenuo da poterla pensare in modo diverso: gli occhi per leggere ed informarsi ce li hanno entrambi, senza dubbio oltre le possibilità della media della popolazione; né possono permettersi facili quanto semplicisticamente futili moralismi da non addetti ai lavori…
Senza scadere nel benaltrismo due fatti sono certi:
- Il lavoro pubblico è un costo fisso, proiettatabile nelle spese dei bilanci futuri in base alle piante organiche e alle prospettive di turnover, indipendentemente da quale che sia la distribuzione di campioni, mele marce o lavoratori semplicemente responsabili;
- Così come quello privato, anche il lavoro pubblico ha un “indotto fisso”, costituito da tutta l’offerta interna di beni e servizi che, ovviamente, non distingue se l’acquirente stia meritevolmente od immeritevolmente dando seguito a risultati ottenuti al concorso pubblico.
Un’offerta interna consolidatasi nel tempo, che ben potrebbe ricevere un vulnus se la domanda interna modificasse i propri costumi, seppur a parità di domanda aggregata, redistribuendo i propri acquisti anche su altri beni ed altri servizi o, nel caso del Telependolarismo, se si verificasse una redistribuzione geografica, anche locale, dell’acquisto persino degli stessi beni e servizi.
A titolo d’esempio: l’abitante dell’hinterland che ogni giorno va in centro a Milano probabilmente prende mezzi ATM, prende il caffé in un esercizio che paga le tasse (pure dei muri) a Milano e torna a casa, per questioni di orario, solo dopo avere fatto la spesa, sempre a Milano; tutte le volte che se ne restasse a casa sua — chessò — a Busto Arsizio né la fiscalità né gli esercenti di Milano, con dietro i proprietari dei muri (o dei marchi), ne potrebbero profittare. Uno come Sala non dubito abbia già proiezioni su questi scenari, e se non se l’è fatte da solo probabilmente qualcuno già gliene avrà sottoposte di varie, una più lamentosa dell’altra, come d’uopo fra titolari e proprietari in questo paese…
In tal senso l’uscita di Ichino parrebbe un assist allo stesso Sala, a supporto della possibilità che la questione debordi dai confini della metropoli lombarda e accomuni tutte le località, proporzionalmente alla concentrazione geografica di lavoratori pubblici. D’altro canto non si può far nulla, o quasi,9 per il lavoro privato, ossia per l’offerta coperta dalla domanda interna dei suoi lavoratori, giacché i datori possono decidere di remotizzare a proprio giudizio e profitto, e pertanto, costi quel che costi, va mantenuta la posizione (lo status quo di acquisti) almeno su quello pubblico…
Mi rimetto nei panni di entrambi e tento di empatizzare l’imbarazzo che devono avere avuto mentendo sapendo di mentire. Specie Sala, che sulle spalle ha la responsabilità di milioni di persone che, volenti o nolenti, continueranno ad essere chiamate al distanziamento sociale, a tutela anche dell’immagine (realistica) di affidabilità che ora tutto il Paese deve essere in grado di offrire al Mondo…
OMG! Do you mean this teleworking stuff actually works?😳 https://t.co/1LqT75qSaD
— Jack Nilles (@JackNilles1) June 14, 2020
Note
- Salvia, Lorenzo. (). Coronavirus, Ichino: «Smart working? Per dipendenti pubblici spesso è vacanza». Corriere della Sera;
- Salvia, Lorenzo. (). La ministra Fabiana Dadone: «Smart working? Parole irrispettose. In ufficio uno su tre». Corriere della Sera;
- Voltattorni, Claudia. (). «Smart working? Esperienza positiva, ma ora torniamo in ufficio. Servono regole ed equilibrio». Corriere della Sera;
- Querzè, Rita. (). Smart working, l’appello del sindaco Sala: «È ora di tornare a lavorare». Corriere della Sera;
- Redazione Economia. (). Il sindaco Sala: «Stop a smart working, torniamo al lavoro. “Effetto grotta” è pericoloso». Corriere della Sera;
- Esistono già il termine "telelavorabile"per l'ambito impiegatizio e teleoperabile per quello industrial-manifatturiero e dei servizi;
- Pelligra, Vittorio. (). Lavoro, per renderlo davvero smart servono più autonomia e meno controllo. Il Sole 24 Ore;
- Pignataro, Sabina. (). Hai avuto lo smartworking? Ora scordatelo: obbligati a rientrare in ufficio perché "la sedia di casa non è ergonomica". Business Insider Italia;
- Bottini, Aldo. (). Smart working, il datore può richiamare in sede il lavoratore (ma solo per necessità). Corriere della Sera.