Dalla "Work + Vacation" alla "Work + Hospitalization"
Tre ricoveri, tre "Workation"
…ovvero del perché tutti gli ospedali, tutti, al di là della specifica "contingenza anche emozionale" del COVID-19, dovrebbero essere rinnovati, nella propria infrastruttura elettronica, affinché possano elargire connettività WiFi ai propri degenti
Non riesco a dormire, e non è stata la Renasys Touch della Smith & Nephew spompettante sul comodino a pochi centimetri dal letto:
- Il 02 Gennaio di quest’anno, dopo due anni e mezzo in cui un’ernia post-laparotomica si è allargata fino a quasi tutto l’addome (circa 30×20 cm alla TC), finalmente, con una laparoalloplastica, applicando una protesi mi sono stati rifasciati gli addominali;
- Da Gennaio in poi si è sviluppato un sieroma multi-concamerato subito sotto pelle le cui produzioni di siero hanno continuato a fuoriuscire — con sviluppi che oserei definire tarantiniani per quanto pulp ed al contempo grotteschi… — da una deiscenza in corrispondenza di quello che un tempo è stato il mio ombelico e che, anche a causa del rischio ospedaliero d’infezione, fino a Pasqua non si è potuto far altro che monitorare con successive ecografie e mantenendo i contatti col chirurgo che mi aveva operato;
- Intanto, dato che come tutti non vivo in ambienti sterili né dispongo di operatori per medicazioni giornaliere, ho sviluppato un’aggressiva infezione da E.Coli, risalitami dalla deiscenza su per le camere del sieroma; disponendo, però, di un altrettanto aggressivo sistema immunitario, l’alterazione febbrile derivata è stata così bassa — sarei, invece, dovuto schizzare in pochi giorni a 39°-40°C — da poter essere facilmente riconducibile ad una incipente sintomatologia da Coronavirus, sicché per ben due settimane, sino a Pasqua, mi sono dovuto auto-quarantenare aggiornando il chirurgo sull’evolversi della situazione;
- Subito dopo Pasqua sono stato ricoverato, sottoposto a terapia antibiotica ed all’apposizione di ben due tipi di drenaggio, passando da un drenato di un colore quasi nero ad uno simile al caffellatte;
- Passa una settimana dalla dimissione e, vuoi perché il drenaggio lasciatomi si è rotto, vuoi per l’insistenza di questo color caffelatte, sono stato ri-ricoverato, ri-aperto sull’addome, lavato in ciascuna camera del sieroma e mi è stata applicata una terapia detta “di pressione negativa“, ossia una pompa mi risucchierà le camere da una ferita che è stata lasciata volutamente aperta — ma coperta ermeticamente — fintantoché sia le camere che la ferita non saranno state ridotte da tutto questo ciucciamento.
Ieri sono stato dimesso, ed al terzo ricovero in quattro mesi comprensibilmente tornare a casa è stato adrenalinico, da cui l’impossibilità a dormire.
Una mia peculiarità ormai dimostrata ripetutamente è la Resilienza fisica. Altrettanto dimostrato è il fatto che essa costituisca sia un vantaggio che uno svantaggio — ed ovviamente quest’ultimo ricade esclusivamente su di me:
- A fronte del vantaggio di riprendermi rapidamente — sia alle laparatomie del 2017 che a quelle del 2020 mi sono rimesso in piedi, anche a vagolare per l’ospedale, in ore; la ripresa ampiamente più lenta è stata quella per l’intervento di Gennaio, sei ore seguite da diciotto di terapia intensiva, meno di quarantott’ore dalla fine del quale ero già al bar dell’ospedale a ricevere mio padre e mia zia — c’è lo svantaggio che è troppo anomalo per ricadere negli standard degli operatori, forse troppo abituati a pazienti e degenti avanti con gli anni ed indietro con la propria capacità fisica: l’ultima medicazione della VAC un’ora prima della dimissione è stata chiaramente pensata per una persona che avrebbe continuato ad usarla da sdraiato, il che mi ha costretto ad ideare degli escamotage per evitare che, facendo gomito, il tubetto che connette la mia pancia alla pompa non mandasse quest’ultima in errore per blocco del flusso;
- A fronte di una nocicezione — distale perché i dolori al di sopra del collo li sento! — piuttosto collaborativa — mi sono stati infilati ben due drenaggi, di cui uno radiologico, senza anestesia ed analogamente si sta potendo procedere con le medicazioni all’attuale ferita aperta sull’addome (circa 8×5cm) —, e che perciò sconvolge gli operatori, c’è lo svantaggio che il dolore è un segnale, e percepirlo debolmente costituisce prevalentemente un pericolo — così come l’approccio da trincea dei miei globuli bianchi — di non rilevare in tempo il peggioramento significativo di una condizione;
- A fronte di un recupero sufficientemente rapido da rendere consigliabile evitare gli sforzi fisici, ma che mi rende comunque operativo quanto basta, la spartanità delle strutture ospedaliere e le limitazioni tipiche — ma anche straordinarie, come il confino in reparto per evitare esposizioni (ulteriori) al rischio di contagio — di qualunque ospedalizzazione costituiscono, altrettanto rapidamente, una fonte di frustrazione ed inquietudine.
È successo nel 2011, nel 2017 ed in tutti e tre i ricoveri di questi ultimi quattro mesi: sapendo che mi sarebbe stato possibile, mi sono sempre portato dietro — o fatto portare — il necessaire e, poi, potendo, ho sempre trovato l’occasione per telelavorare…
Non è che sia uno stacanovista, un workaholic o, peggio, semplicemente ricattabile dai clienti o dal datore di lavoro. Tantomeno mi manca la voglia di aggiornarmi, di svagarmi ed anche oziare. Per quanto riguarda la tendenza a riflettere, infine, forse dovrei persino darmi una calmata. Il banale fatto è che, dopo aver escluso certe eventualità ed esaurito altre, mi resta sempre quel tanto di tempo che sarebbe un peccato sprecare ricominciando daccapo…
È esperienza piuttosto diffusa quella di aver lavoricchiato anche durante delle ferie, magari in vacanza da qualche parte: una telefonata o SMS anche informale, apparentemente, di un collega o del capo; un’altra di un cliente, di un fornitore o di un partner che ignorava la più che giustificata assenza da lavoro; una controllatina alla mail; eccetera… È esistenzialmente così famigliare che è stato pure coniato un termine per descrivere quest’esperienza: “Workation” (“Work” + “Vacation“).
Si noti che un “evento” di Workation costituisce la più semplice dimostrazione del fatto che il Telelavoro trascende una forma contrattuale da incasellare giuridicamente ed è, invece, una modalità di lavoro; è, piuttosto, un approccio alla azione lavorativa di natura culturale e pertanto di superflua definibilità giuslavoristica:
- Si può essere lavoratori subordinati, para-subordinati o persino autonomi; si potrebbe essere anche i datori di lavoro della situazione specifica;
- Si è, per definizione, al di fuori dell’orario di lavoro — anzi: il contesto è un’assenza concordata da lavoro — e pertanto non si viene neppure pagati, al massimo ricompensati per la disponibilità;
- Nessuno si sarebbe mai sognato di perdere un solo minuto per contrattualizzarne in precedenza anche la sola eventualità (Telelavoro Informale) — il che lo fa ricadere già nella medesima informalità del Telelavoro Mobile.
Se non è “Telelavoro“, o quella porcata terminologica di “Smart Working“, un “evento” di Workation resta ugualmente “Telelavorare“, nella sua forma più pura: magari in una sola oretta, destrutturata in sette-otto operazioni brevissime (telefonata, mail, altra telefonata…) svolte durante tutta la giornata — mentre i propri congiunti (…) sono presi dai Social o sono andati alla toilette, aspettando che si liberi il tavolo, in fila per il check-in o per il chiosco delle bibite, etc… — si possono disinnescare crisi emergenti in ufficio o semplicemente risolvere problemi a chi vi sta ancora…
Dato che, da un lato, ci scorderemo ancora per un po’ le vacanze di una volta e che, dall’altro, io — mio malgrado; oltretutto molto più raramente mi è capitato di lavorare proprio in vacanza… — posso offrire un’esperienza un po’ differente, propongo d’includere nella definizione di Workation pure il binomio “Work + Hospitalization“: lavorare, od almeno lavoricchiare di tanto in tanto, mentre sei ricoverato…
Il bello è che questo giochino di parole lo si potrebbe fare anche con “Work At/From Home“, che diventerebbe “Work At/From Hospital“…
Non è un tentativo di auto-elogiarmi e, tantomeno, una proposta così peregrina, specie con gli scenari prospettatici nel breve periodo:
- Lavoratori ancora abili ma precauzionalmente isolati, preferibilmente non a casa propria per salvaguardare gli altri abitanti, sulla base della compatibilità di pur comuni sintomi con quelli provocati dal SARS-CoV-2;
- Lavoratori ancora abili ma quarantenati in quanto trovati positivi, ancorché asintomatici;
- Lavoratori ancora abili ma ospedalizzati in quanto variabilmente sintomatici;
- Lavoratori in progressiva ripresa delle proprie abilità dopo l’infezione.
Tre sono i concetti chiave di questo scenario:
- L’indeterminatezza sui luoghi di isolamento, di quarantena e di ospedalizzazione in una prospettiva di progressiva istituzionalizzazione di tali procedure successiva all’emergenza;
- La variabilità delle tempistiche di suddette procedure caso per caso;
- L’abilità residua dei lavoratori interessati.
Non è sistematico che qualsiasi lavoratore, nell’opportunità di “ferie pagate” dall’INPS o dall’INAIL, ne usufruisca solo per godersi la “villeggiatura” obbligatoria in qualche struttura individuata dal SSN o dai servizi territoriali locali: io, ad esempio, non sono riuscito a resistere neppure tre giorni prima di cedere alla crescente necessità di fare qualcosa, e sì che avrei potuto limitarmi a messaggiare…
Nell’arco di tre settimane sono stato ricoverato per due, all’inizio di ciascuna delle quali sono stato svariate ore (…) ad attendere, in Pronto Soccorso, l’esito dei tamponi d’ingresso in ospedale. L’attesa del tampone, da un lato, e la prospettiva di ricovero dall’altro ti fanno pensare due volte: che potresti essere già positivo e soprattutto che, fra il Pronto Soccorso ed il reparto, potresti avere ancora maggiori possibilità di diventarlo a breve. A quel punto ti fai due calcoli sulla base delle esperienze lette online od ascoltate in TV e, al netto del rischio di soffrire ed anche di morire, quantifichi il numero di settimane di vita che ti potrebbe infine costare l’eventuale infezione od anche la sola positività:
- Settimane di ulteriore lockdown lavorativo e professionale — e qui penso soprattutto ai lavoratori autonomi, non altrettanto coperti da INPS, INAIL o da ammortizzatori sociali e già abbondantemente colpiti dal lockdown collettivo;
- Settimane di ulteriore lockdown relazional-affettivo;
- Settimane di ulteriore lockdown sociale (andare per strada, in un caffé, etc.).
In estrema sintesi: settimane di ulteriore lockdown esistenziale, nelle quali l’unico elemento del suddetto trittico ancora relativamente aperto per continuare a percepire una propria esistenza residua potrebbe essere, appunto, l’opportunità di trasformarle in una Workation “sanitaria”, qualsiasi possa esserne la destinazione o le condizioni… Io ho contemplato con orrore l’eventualità di un’infezione privo di ancore di salvezza e non credo che sarei il solo…
Ecco perché forse, prima di esporre centinaia di operatori pel supporto psicologico anti-straniamento e suicidio al rischio di passare fra le schiere dei supportati, sarebbe meglio quantomeno cautelarsi anche con un rinnovamento delle strutture di potenziale destinazione di isolati, quarantenati, pazienti e convalescenti. Niente di mirabolante: più prese per collegare trasformatori e caricabatterie, più salottini e soprattutto un accesso a Internet che non implichi connessioni a consumo…
Alla peggio i beneficiari sfrutteranno queste agevolazioni per poter messaggiare…