Nessun DPCM può salvarci dalle conseguenze di un "assembramento digitale"
«Venghino, Signori, Venghino..!»
Il già maturo e strutturato mercato dei sistemi per il Cloudworking scalabili e per tutte le esigenze sta debordando dalla consueta nicchia di ormai affezionati estimatori propulsa dall’inattesa esplosione geografica della domanda, soprattutto di soluzioni "plug ‘n’ play"
Due sono gli archetipi di persona, diametralmente opposti fra loro, in cui mi rallegro di non ritrovarmi in queste settimane di precipitoso ricorso coatto all’homeshoring quale contromisura ai diffusi lockdown: l’impiegato medio alle prese con folder virtuali anziché con le cartelle a cui s’era abituato sin da Windows 3.x, da un lato, e, dall’altro il CTO (“Chief Technology Officer“) di una di quelle imprese o divisioni aziendali convinte a riversare nel mainstream delle richieste soluzioni che sono senza dubbio testate per reggere migliaia di concurrent users ma all’ordine dei milioni potrebbero pure vacillare. Io non ci dormirei la notte, soprattutto considerando le altissime aspettative ripostevi, sovrastanti persino quanto roboantemente promesso nel sempre più ubiquo ed incalzante advertising.
Praticamente ogni spazio grafico nei miei feed sui vari social è occupato da questa o quella pubblicità che mi propone pacchetti completi per la virtualizzazione dell’impresa o webinar per imparare a gestire con successo lo “smart working” o a riconfigurare il network aziendale. Fa piacere che fosse tutto già pronto all’uso, sebbene sorga il duplice sospetto di un reselling ribrandizzato italiano e — ancora peggio — di soluzioni basiche dedicate alla pura e semplice Comunicazione, che comunque pesa sulle infrastrutture molto più della vitale Informazione…
BONUS: non vorrei neppure ritrovarmi nel CEO o nel CIO dell’impresa oggi alla drammatica ricerca di una soluzione “chiavi in mano” nella quale riporre tutte le speranze di stakeholder vari (dipendenti, Proprietà, creditori, etc…); una spada di Damocle che indubbiamente mi rimanderebbe a ciò che benissimo avrei già potuto cominciare a fare ieri, moderando pure l’esposizione aziendale alle più che prevedibili speculazioni di qualsiasi concitato momento. Anche in tale posizione un’aprioristica insonnia sarebbe assicurata — ed io, invece, sono uno che vuole dormire sereno…
La questione è semplice: per quanto lo staff del proponente sia stato bravo a contemplare, in un’applicazione Web — e ne girano di lodevoli anche in questo Paese, noto per la prevalenza di ditte cd. “sparagestionali” —, tutti i “casi d’uso” già affrontati in precedenza il prodotto non sarà tanto tagliato su misura quanto quello che l’azienda ha già fatto perfezionare negli anni: ci si può ovviamente lavorare sopra, magari in tempi più contenuti, ma il “prêt-à-porter” è da escludere — benché una certa standardizzazione non è detto non possa esser benevenuta!1
Gli “early adopter” — e non si parla necessariamente di telelavoratori bensì puri e semplici lavoratori co-localizzati in CSCW (“Computer Supported Cooperative Work“) sotto CWE (“Collaborative Working Environment“), cioè un Groupware; in pratica chiunque, arrivato sul lavoro, per iniziare debba accendere un PC ma contemporaneamente, ad esempio per ramo d’attività, debba esserne un utilizzatore sopra la media — da almeno due decadi sono abituati a basculare fra gli strumenti a disposizione, spesso pure testandone di nuovi: FTP – annovero volutamente tale reperto storico, seppur ancora assolutamente funzionale –; VCS; almeno un browser aperto in modalità “(extreme) multiple tabbing“; svariate audio/video/text-chat su diversi device; molteplici documenti aperti in altrettante applicazioni; gli applicativi aziendali; l’immancabile email…
Una molteplicità di tool, insomma, fra loro indipendenti sia in termini di processo sulla macchina — al semplice rallentamento od al crash definitivo di uno si può intanto ripiegare su un altro… — che, soprattutto, di traffico dati sulla WAN/LAN — se ne stanno usando prevalentemente alcuni tendenzialmente altri vengono lasciati riposare, salvo che l’utente non sia proprio una bestia del multitasking —, che richiedeva agli utilizzatori una discreta agilità ma, di contro, rendeva pressoché impossibile un completo fermo produzione per carenza di alternative…
Questo modo d’uso tradizionale è stato progressivamente raffinato dai vendor di sistemi collaborativi, in quanto evidentemente poco confortevole ed accessibile, onde estendere la platea di potenziali utilizzatori dalla ristretta cerchia di power user di un tempo. Indubbiamente, in termini di evoluzione dei prodotti, sono state compiute delle scelte a dir poco rimarchevoli che ne hanno significativamente migliorato l’usabilità:
- L’erogazione in cloud, centralizzando la fornitura (di contenuti e strumenti) ed allargandone la fruibilità a molteplici device fissi e mobili (PC, tablet e smartphone);
- L’integrazione fin dall’interfaccia degli strumenti precedentemente fra loro separati, spesso modulare nonché scalabile (in performance) per le successive politiche di pricing fra cliente — e numero di utenti — e cliente;
- La “APIficazione“2 per la connettibilità via API e Web Service e pertanto un’ulteriore integrabilità con servizi terzi (ad es. Google Drive, Amazon AWS, etc.).
Senza dubbio queste migliorie, sin dalla user friendliness, hanno avvicinato all’uso di tali strumenti de facto di “Web Commuting” — basta un browser, su un qualsiasi device, per poterci lavorare da qualsiasi luogo — pure l’impiegato, e l’organizzazione, più tradizionalista, a basso livello di “Technacy” o semplicemente “de coccio“, tant’è che persino la PA ha fatto proprio il modello, richiedendo agli interlocutori di accedere a delle “piattaforme” (Web) per i più svariati impieghi, a cominciare da quelle per alcuni invii telematici.
Come fautore del Telelavoro non potrei esser più soddisfatto: “un colpo al cerchio (facilità d’uso) ed uno alla botte (obbligatorietà)” attraverso i suoi strumenti è cresciuta subliminalmente l’abitudine a tale modalità di lavoro.
Come early adopter, tuttavia, non riesco a non essere preoccupato: l’architettura centralizzata del SaaS (“Software as a Service“), che in una situazione normale manifesterebbe principalmente i propri vantaggi, in una emergenziale, al netto della ridondanza e del bilanciamento di carico in supporto allo specifico servizio, non si alienerebbe dai rischi di downtime in caso di sovrafflusso di utenti, anche verso tool differenti, e dunque proprio nelle ore di punta…3
Si può anche credere che, al netto della sostenibilità del traffico soprattutto nelle reti mobili, Google, Microsoft, Oracle, Slack, etc… e pure “Facebook for Business” siano “Too Big To Fail“. Quale, invece, potrà essere la liability di servizi che, per la loro “verticalità” od “orizzontalità”, non hanno avuto materialmente il tempo di adattarsi ad un successo che potrebbe crescere esponenzialmente ogni giorno, né hanno le spalle coperte da partner di suddetta caratura..?
Le organizzazioni “early prepper” — col senno di poi —, d’altro canto, negli anni hanno ammodernato e specializzato il proprio parco macchine (Application Server), evoluto il proprio networking (locale e non) e l’hanno deperimetrato, principalmente per consentire la condivisione delle risorse sia a livello organization (ad es. sede satellite) che a livello enterprise (ad es. clienti e fornitori). Spesso incidentalmente ciò ha anche aperto la strada all’accesso sicuro (via VPN) da remoto alle risorse condivise da parte di dipendenti e collaboratori.
Tuttavia — sempre col senno di poi — anche questi servizi, per ragioni vuoi di manutenzione vuoi di TCO, sono stati spesso esternalizzati, ossia “centralizzati altrove“: le conseguentemente possibili economie di scala hanno permesso di abbassare il costo di accesso a più alti livelli di performance e qualità, allargando il carnet di servizi accessibili nello stesso pacchetto. Persino la feature più basica di una Intranet od Extranet, il File Server per la condivisione e backup di file e cartelle, in una quindicina d’anni di stroncamenti dello scetticismo aleggiante sulle questioni di Privacy e Security, frequentemente è stato soppiantato — in altri casi quantomeno integrato — da un Cloud Storaging di livello business.
Acronimi commerciali come NaaS (“Network as a Service“) od il già citato SaaS hanno vieppiù accresciuto il loro appeal presso le imprese anche grazie ad un sempre più strutturato layer di monitoraggio e tuning dei servizi “graficamente interfacciato” dalle Dashboard, attraverso le quali è possibile abilitare/disabilitare specifiche funzionalità a seconda dell’utilizzatore ma pure controllarne l’attività svolta. Anche questo fattore, all’apparenza esclusivamente tecnico ed invece verosimilmente assai psicologico — non serve più uno specialista IT per modificare i privilegi file di un utente, redirigerne le chiamate dal cellulare aziendale alla derivazione VoIP e viceversa, etc., ma basta un middle-manager di tutt’altra estrazione —, ha contribuito ad una diffusa esternalizzazione (geografica) rispetto ai network fisici delle aziende.
Anche qui come fautore del Telelavoro non potrei esser più speranzoso: a fronte della disponibilità di smartness tecnologica, tanto più avanzata quanto più abilitante a tale modalità di lavoro, sempre più organizzazioni la stanno cogliendo.
Di converso non posso non avere nettamente presente che ci troviamo di fronte ad una architettura centralizzata, connaturatamente vulnerabile in caso di sovrafflusso di utenti e sovraccarico di processi qualora la sua scalabilità non poggiasse anche su una ridondanza geografica.4
Il rischio, tutt’altro che remoto, è che i provider di piccola-media dimensione, magari latori di servizi preziosissimi, ottimamente studiati e pure aperti alla loro “tailorizzazione” on-the-go, si trovino (s)travolti da una lievitazione delle transazioni inimmaginabile persino nelle più rosee previsioni di crescita, soccombendovi almeno temporaneamente — così come tutti gli utenti delle varie aziende sotto contratto, che si ritroverebbero quantomeno mutilati nelle opzioni…
C’è, infine, il fattore umano: da un lato sembrerebbe, almeno nelle cronache che seguo, che in Italia non esistano aziende i dipendenti e collaboratori delle quali non occupino la maggior parte del tempo ad interagire faccia a faccia fra loro e/o con terzi, sicché l’attesa sembrerebbe essere quella della massima approssimazione possibile allo stesso modus operandi pure in una situazione di homeshoring imposta da un lockdown, vale a dire ricorrendo ad assidue video call; dall’altro la stessa multimedialità5 viene ricercata anche in tutti gli usi legittimamente non lavorativi (streaming A/V e ludico, videochiamate, Virtual School, etc.), i quali, nella migliore delle ipotesi, andranno a trovare il proprio collo di bottiglia nell’access point di casa mentre nella peggiore andranno a scaricarsi su differenti utenze anche mobile.
Non importa quando arriverà il fantomatico 5G, comunque non nei tempi dell’emergenza ed ad ogni modo previa diffusione di device idonei! Molti di questi servizi multimediali restano in indissolubile contatto col proprio server anche dopo la fondamentale autenticazione-utente o la sincronizzazione di rubrica e conversazioni, di fatto impedendo transazioni esclusivamente “punto-a-punto” fra gli utilizzatori, le sole che sarebbero beneficiate da una banda ancora più larga. Poiché, invece, resta costantemente necessario appoggiarsi ad un server è quest’ultimo che dovrebbe essere “too big to fail” — ed ormai abbiamo appreso bene che non è così…6
Una lettura critica sia della cronaca di questi giorni che delle analisi di settore7 dovrebbe portare alla conclusione per cui, nonostante la mirabolanza e l’abbondanza di strumenti a disposizione, forse sarebbe meglio un downgrade alla “modalità legacy“, almeno da parte degli individui e delle aziende che se lo possono permettere ed almeno quale ripiego. Pertanto, per fare degli esempi:
- Skype (“Peer-to-Peer” + “Point-to-Point“) per le comunicazioni A/V e testuali;
- Telefono mobile o fisso per le comunicazioni verbali;
- Application Server, a partire dalla gestione delle directories, quanto più possibile entro le intranet aziendali, con sincronizzazione/backup su Cloud — gli altri il pù possibile su Internet Service Provider locali;
- Quante VPN in ingresso possibile nel network fisico aziendale;
- Distribuzione, manuale o meno (accesso HTTP/FTP ad un server interno dedicato), degli “.ISO” d’installazione dei software client e relative licenze ai dipendenti autorizzati alle VPN.
In sintesi dovrebbe essere percorsa, potendo, qualsiasi strada porti via dalla unificazione e dalla centralizzazione tipicamente moderne e verso il decentramento e la separazione classici — per non dire fondanti8 — della Rete…
Note
- Io stesso ho avuto molto da imparare dalle applicazioni Web — fra tutte mi verrebbe da citare quelle della TeamSystem per esemplificatività — che negli hanno ho avuto modo di testare per necessità o anche per sola curiosità;
- Non si confonda "APIficazione" (da "Application Programming Interface") con "APPificazione" (da "Application");
- A dispetto della norma sullo Smart Working spesso richiamata e che prevederebbe «forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro» apparentemente troppe aziende si starebbero esplicitamente organizzando per rispecchiare "in remoto" gli orari "co-localizzati";
- È il caso, ad esempio, dei server di Google Drive, che si sincronizzano fra loro assicurando, così, l'accesso sempre a quello prossimale rispetto alla posizione dell'utente;
- In effetti "Multi-Modalità";
- Ricerche su Google Search per: "WhatsApp Down", "Google Down", "Facebook Down", etc.;
- Ad esempio Is the Internet Resilient Enough to Withstand Coronavirus? (28/02/2020);
- Vedasi "Packet Switching".