Quando la "fantasia giuridica" si scontra con la validazione delle fonti
Smart Working vs Telelavoro: il tramonto dell’isolazionismo?
In quasi un ventennio le psicotiche "peculiarità interpretative" italiane sul Telelavoro hanno contagiato la Informazione, che – meglio tardi che mai – vi sta sviluppando gli anticorpi. Magari è il momento di iniziare a pensare ad un armistizio con la Realtà…
Fintantoché, dovendo, ne sono potuto rimanere prevalentemente osservatore, seppur intellettualmente compiaciuto, la slavina sempre più corposa di articoli più o meno salienti sulla nuova normalità del lavoro a distanza, come io fossi Robocop alle prese con la mia personale “direttiva 4“, mi ha provocato mesi di convulsioni e cortocircuiti a leggere ed ascoltare, oltretutto con la insistente veemenza dei tipici riempitivi mediatici — «il capo ha detto di sfornare un altro di quei post sullo Smart Working, ché il ferro va battuto finché è caldo!» —, di peregrini distinguo fra Telelavoro e Smart Working.
Già me li vedo, i pubblicisti giornalisti in pectore, gli articolisti un tanto a battuta e sopratutto i redattori, digitare prima “Smart Working” e poi “Telelavoro” su Google e andarci giù di copincolla coi risultati al massimo fino alla terza pagina, giungendo alla conclusione, assai poco giornalistica — se non di pubblicazione organica governativa… —, per cui…
- Il Telelavoro è roba vecchia: sei costretto a stare a casa tua e soprattutto a rispettare i tradizionali orari di lavoro;
- Lo Smart Working, invece, è una figata: puoi lavorare dove e come vuoi…
.., con assembramento di facepalm sia da parte di quel 4% e rotti di lavoratori formalmente in Telelavoro nel Paese, magari da anni, che delle centinaia di migliaia “aumma aumma“, vale a dire quelli, tanti, per cui un’equiparazione fra lavoratori in presenza e non ha da sempre, persino da prima che fosse citata la parola “Telelavoro” nell’ordinamento, rappresentato una questione sideralmente meno essenziale della smodata inerzia istituzionale sul Digital Divide.
L’adesione quasi cortigiana alle previsioni governative localistiche ed in spregio al “common knowledge” genera mostri:
- Taluni, pur di dribblare la parola “Telelavoro“, auspicano l’avvento del “Lavoro Distribuito“ benché comunemente ne sia un sinonimo — né pare plausibile un fraintendimento con la assonante “Forza Lavoro Distribuita/Dispersa“;
- Altri, allo stesso scopo, traducono il “Remote Working“, sinonimo di “Telelavoro” che più letterale non si potrebbe visto che il prefissoide “tele-” significa proprio “da remoto“, istituito in aziende straniere nello “Smart Working” de noantri; per fortuna non tutti, ma forse è solo un in memoriam per l’intestino caso di Marissa Mayer del 2013;
- Altri ancora tirano in ballo l'”Agile Working“, programmaticamente versato sul “Telelavoro Nomade” ma che almeno esiste come tema internazionale, arrivando a sostenere che sia la traduzione in italiano di “Smart Working“; non paghi di aver usato a sproposito un’altra buzzword altri ne precisano la distanza dall’Agile Development;
- Altri, infine, giungono a sentenziare che
svolgere lo stesso tipo di lavoro da casa propria e in orari stabiliti non è smart working, bensì telelavoro o home working: realtà che esistono già dagli anni ’70
, meritoriamente ricordando quantomeno la storicità della terminologia trattata.
Ho un’amica che lavora per la RAI e deve organizzare più volte a settimana delle interviste, quindi ho immantinente capito quel che è successo dopo: esaurite le fonti standard (responsabili/direttori di questo o quell’altro, referenti e latori giuridici, altri giornalisti, etc.), quel tipo di riferimenti che riescono a riempire novanta secondi persino del nulla assoluto, i poveri tapini han dovuto ripiegare…
- …per i testi a fonti non in lingua italiana; è facile riconoscerne la rielaborazione perché ciò che tanti tradizionali autori italiani riuscirebbero a trascinare per tre pagine — e chiunque abbia avuto la fortuna di preparare esami universitari non soltanto su bibliografie in Italiano lo sa bene… — un anglofono lo esaurisce in un paragrafo con tanto di grassetti e corsivi dove servono, e pertanto richiede più di qualche infiorettamento;
- …per le clip audio/video a specialisti, gente che studia l’argomento; è facile riconoscerne le interviste perché la quantità di conoscenze, e dubbi, eccede il tempo a disposizione e l’intervento si conclude con smorfie di fonemi lasciati sospesi a video.
Apriti cielo: già il primo affrancamento dalla “fase Dunning-Kruger” è stato spiazzante..!
Alcuni — penso, ma non sono soltanto di parte ma anche empatico — si saranno sentiti traditi dalla Legge e magari avranno ripensato a De Gregori («cercavi Giustizia, trovasti la Legge»), parafrasandolo con «cercavi giustezza, trovasti la Legge». Fuori dai confini italiani, infatti, non sono documentate delle cd. “fattispecie concrete” anche solo vagamente riconducibili alle cd. “previsioni astratte” accumulatesi nel tempo nel nostro ordinamento. Vale a dire che sin dalla stesura delle norme nessuno si è preso la briga di fare quello che qualsiasi studente universitario minimamente attento farebbe consultando pure le bibliografie internazionali, mancando quindi di accorgersi che:
- Nessun paese oltre all’Italia ha mai pensato di confinare il Telelavoro al solo arrangement domiciliare, retaggio di un trapassato tecnologico, logistico e sociologico di cui un po’ tutti i tecnocrati, pure legiferando, hanno dovuto considerare la decadenza; tantomeno con orari fissi, altro — può piacere o meno — patrimonio ormai arcaico;
- Nessun paese oltre all’Italia ha mai pensato di deconfinare il Telelavoro per come suesposto spacciando ciò che altro non è se non una correzione (di tiro?) per l’innovativo Smart Working — che peraltro significa tutt’altro…
Se non proprio fuffa le definizioni maccheroniche di Telelavoro e Smart Working sono semplicemente fuorvianti: la prima per l’eccessiva pedissequità — ma nella traduzione dall’Inglese! — di quella, del 2002, che per tutti avrebbe dovuto essere una cd. “soft law” (Accordo-Quadro Europeo sul Telelavoro); della seconda non s’intuisce ancora se la genesi sia maturata con il medesimo professionismo da Gig Economy giornalistica di cui sopra, copincolla incluso («il leader ha detto di elaborare un’altra di quelle leggi “senza portafoglio” ma acchiappa-consensi, ché siamo in campagna elettorale costante!») oppure nella negligenza più o meno dolosa — e ad assistere a ciò che sembra emergere sulla preparedness sanitaria in certe regioni tutto potrebbe essere…
Telelavorare è un’azione: si lavora “da remoto”. Si fa del Telelavoro ogniqualvolta l’attività da fare arriva e/o ritorna a distanza dal luogo in cui viene in effetti svolta, indipendentemente da quale luogo sia. Persino stando stabili nel proprio cubicolo in ufficio, restituendo via email ad un capo od un collega “non a tiro” un documento dopo averlo elaborato si sta a tutti gli effetti pratici telelavorando. Se a variare può essere la distanza, dai metri alle migliaia di chilometri, questa viene annullata dall’uso della (ormai comunissima) telematica…
Tutti, dunque, a revisionare le affermazioni del passato pur recente e persino ad invocare qualche ritocchino alle leggi esistenti. In primis i consulenti del lavoro: mi risuonano ancora nelle pupille le vivaci proteste levatesi all’alba del lockdown per il fatto che per l’attivazione dello “Smart Working” fosse o meno necessario un contratto scritto, e la relativa comunicazione telematica, o se sarebbe bastato un semplice accordino verbale o via email. Défaillance di tale amenità danno la misura della avulsione non solo dalla Realtà (normale) ma anche dal contesto (emergenziale) di certe definizioni giuridiche…